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Subsound Records
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INFERNO I

by KYTERION

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    Artwork by Gustavo Saizes

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1.
2.
Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta. Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto che tu vedrai le genti dolorose c'han perduto l'intelletto Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l'aere sanza stelle, per ch'io al cominciar ne lagrimai. Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati da mosconi e da vespe ch'eran ivi. Diverse lingue orribili favelle parole di dolore accenti d'ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto il qual s'aggira Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a' lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto.
3.
L'Acheronte 00:24
4.
Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i' vegno per menarvi a l'altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo. E tu che se' costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti. Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare. Quinci fuor quete le lanose gote Ma quell' anime, ch'eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che 'nteser le parole crude. Bestemmiavano Dio e lor parenti, l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme di lor semenza e di lor nascimenti. Caron Dimonio, con occhi di bragia al nocchier de la livida palude batte col remo qualunque s'adagia. che 'ntorno a li occhi aveadI fiamme rote. Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte, piangendo, a la riva malvagia ch'attende ciascun uom che Dio non teme. Come d'autunno si levan le foglie l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie. Quinci non passa mai anima buona; e però, se Caron di te si lagna, ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona. Finito questo, la buia campagna tremò sì forte, che de lo spavento la mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia la qual mi vinse ciascun sentimento; e caddi come l'uom cui sonno piglia.
5.
Limbo 03:37
Oscura e profonda era e nebulosa tanto che, per ficcar lo viso a fondo, io non vi discernea alcuna cosa Quivi, secondo che per ascoltare, non avea pianto mai che di sospiri che l'aura etterna facevan tremare; ciò avvenia di duol sanza martìri, ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi, d'infanti e di femmine e di viri. Non lasciavam l'andar perch' ei dicessi, ma passavam la selva di spiriti spessi. Così andammo infino a la lumera, parlando cose che 'l tacere è bello, sì com'era 'l parlar colà dov' era. Venimmo al piè d'un nobile castello, sette volte cerchiato d'alte mura, Questo passammo come terra dura; per sette porte intrai con questi savi Genti v'eran con occhi tardi e gravi, di grande autorità ne' lor sembianti: parlavan rado, con voci soavi. Io non posso ritrar di tutti a pieno, però che sì mi caccia il lungo tema, che molte volte al fatto il dir vien meno. La sesta compagnia in due si scema: per altra via mi mena il savio duca, fuor de la queta, ne l'aura che trema. E vegno in parte ove non è che luca.
6.
7.
Non era ancor di là nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco. Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani con tristo annunzio di futuro danno. Ali hanno late, e colli e visi umani, piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre; fanno lamenti in su li alberi strani. Allor porsi la mano un poco avante e colsi un ramicel da un gran pruno; e 'l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb'esser la tua man più pia, se state fossimoanime di serpi». sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; O anime che giunte siete a veder lo strazio disonesto c'ha le mie fronde sì da me disgiunte, raccoglietele al piè del tristo cesto. Di rietro a loro era la selva piena di nere cagne, bramose e correnti come veltri ch'uscisser di catena. In quel che s'appiattò miser li denti, e quel dilaceraro a brano a brano; poi sen portar quelle membra dolenti
8.
Gerione 02:51
Ecco la fiera con la coda aguzza, che passa i monti e rompe i muri e l'armi! Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza!». E quella sozza imagine di froda sen venne, e arrivò la testa e 'l busto, ma 'n su la riva non trasse la coda. Nel vano tutta sua coda guizzava, torcendo in sù la venenosa forca ch'a guisa di scorpion la punta armava. La faccia sua era faccia d'uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle, e d'un serpente tutto l'altro fusto; due branche avea pilose insin l'ascelle; lo dosso e 'l petto e ambedue le coste dipinti avea di nodi e di rotelle. Così ancor su per la strema testa di quel settimo cerchio tutto solo andai, dove sedea la gente mesta. Per li occhi fora scoppiava lor duolo; di qua, di là soccorrien con le mani quando a' vapori, e quando al caldo suolo: dal collo a ciascun pendea una tasca e quindi par che 'l loro occhio si pasca. così ne puose al fondo Gerïone al piè de la stagliata rocca, e, discarcate le nostre persone, si dileguò come da corda cocca.
9.
Là giù trovammo una gente dipinta che giva intorno assai con lenti passi, piangendo e nel sembiante stanca e vinta. Elli avean cappe con cappucci bassi dinanzi a li occhi, fatte de la tagli a che in Clugnì per li monaci fassi. Di fuor dorate son, sì ch'elli abbaglia; ma dentro tutte piombo, e gravi tanto "O frati, i vostri mali!!!" ma più non dissi, ch'a l'occhio mi corse un, crucifisso in terra con tre pali. Già veggia, per mezzul perdere o lulla, com' io vidi un, così non si pertugia, rotto dal mento infin dove si trulla. Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e 'l tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia. La molta gente e le diverse piaghe avean le luci mie sì inebrïate, che de lo stare a piangere eran vaghe. Qual è colui che suo dannaggio sogna, che sognando desidera sognare, sì che quel ch'è, come non fosse, agogna...
10.
Vexilla regis prodeunt inferni Lo 'mperador del doloroso regno da mezzo 'l petto uscia fuor de la ghiaccia; Oh quanto parve a me gran maraviglia quand' io vidi tre facce a la sua testa! Con sei occhi piangëa, e per tre menti gocciava 'l pianto e sanguinosa bava. Da ogne bocca dirompea co' denti un peccatore, sì che tre ne facea così dolenti. Sotto ciascuna uscivan due grand' ali, quanto si convenia a tanto uccello: vele di mar non vid' io mai cotali. Non avean penne, ma di vispistrello Vexilla regis prodeunt inferni Lo 'mperador del doloroso regno da mezzo 'l petto uscia fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io mi convegno, che i giganti non fan con le sue braccia: Vexilla regis prodeunt inferni

about

"INFERNO I" is the first part of a trilogy; the second and third act are already work in progress. The vocals are sung in XIIIth century Italian Vernacular; an element of authenticity for an all-Italian project.

The trip starts from L'Etterno Dolore, which leads to the deepness of hell through the various circles, full of demons, evil creatures, and desperate souls. The journey culminates with the appalling encounter of the Lord of the Underworld: Lo 'mperador del Doloroso Regno.

credits

released July 22, 2016

Produced by Kyterion.

Recorded during fall 2015 at “Medoosa Studio” Bologna (BO) & “HDL Studio” Altedo (BO).

Mixed and Mastered by Giuseppe Orlando at “The Outer Sound Studio” Rome.

Music by Kyterion.

All lyrics are taken from “L' Inferno” by Dante Alighieri.

license

all rights reserved

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about

KYTERION Calabria, Italy

Kyterion is an Italian black metal band born in 2015.
The artistic solidity of the project leads its member to compose and record their first album: INFERNO I

The vocals are sung in XIIIth century Italian Vernacular; an element of authenticity for an all-Italian project. The nouns of the memebers of Kyterion are unknown, and so are their appearances.
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