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INFERNO II

by KYTERION

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1.
Mal Nati 03:02
Mal Nati Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, novo tormento e novi frustatori, nel fondo erano ignudi i peccatori; dal mezzo in qua ci venien verso ‘l volto, di là con noi, ma con passi maggiori, su per lo sasso tetro. Vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro. Ahi come facean lor levar le berze! Quindi sentimmo gente che si nicchia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia. Le ripe eran grommate d’una muffa, per l’alito di giù che vi s’appasta. Lo fondo è cupo sì, che non ci basta gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso. Attienti, e fa che feggia lo viso in te di quest’altri mal nati, un col capo sì di merda lordo, e quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l’unghie merdose, e or s’accoscia e ora è in piedi stante. E quinci sian le nostre viste sazie.
2.
Onde La Rena s ’Accendea Indi venimmo al fine ove si parte lo secondo giron dal terzo, e dove si vede di giustizia orribil arte. Arrivammo ad una landa che dal suo letto ogne pianta rimove. La dolorosa selva l'è ghirlanda intorno, come 'l fosso tristo ad essa. Lo spazzo era una rena arida e spessa, d'anime nude vidi molte gregge, piangean tutte assai miseramente. Supin giacea in terra alcuna gente, alcuna si sedea tutta raccolta, e altra andava continüamente. Quella che giva 'ntorno era più molta, e quella men che giacëa al tormento, ma più al duolo avea la lingua sciolta. Sovra tutto 'l sabbion, d'un cader lento, piovean di foco dilatate falde, come di neve in alpe sanza vento. Scendeva l'etternale ardore; onde la rena s'accendea, com' esca sotto focile, a doppiar lo dolore. Sanza riposo mai era la tresca de le misere mani, or quindi or quinci escotendo da sé l'arsura fresca.
3.
Dite 04:03
Dite Questa palude che ‘l gran puzzo spira cigne dintorno la città dolente. Ver’ l’alta torre a la cima rovente, dove in un punto furon dritte ratto tre furïe infernal di sangue tinte, che membra feminine avieno e atto, e con idre verdissime eran cinte; serpentelli e ceraste avien per crine. Con l’unghie si fendea ciascuna il petto, battiensi a palme e gridavan sì alto: Vegna Medusa: sì ‘l farem di smalto. E già venìa su per le torbide onde un fracasso d’un suon, pien di spavento, per cui tremavano amendue le sponde. Veggio ad ogne man grande campagna, piena di duolo e di tormento rio. Fanno i sepulcri tutt’ il loco varo, così facevan quivi d’ogne parte, salvo che ‘l modo v’era più amaro; ché tra li avelli fiamme erano sparte, per le quali eran sì del tutto accesi. Tutti li lor coperchi eran sospesi, e fuor n’uscivan sì duri lamenti, che ben parean di miseri e d’offesi.
4.
Pena Molesta 03:20
Pena Molesta Un diavolo è qua dietro che n’accisma sì crudelmente, al taglio de la spada rimettendo ciascun di questa risma, quand’ avem volta la dolente strada; però che le ferite son richiuseprima ch’altri dinanzi li rivada. Un altro, che forata avea la gola e tronco ‘l naso infin sotto le ciglia, e non avea mai ch’una orecchia sola. E un ch’avea l’una e l’altra man mozza, levando i moncherin per l’aura fosca, sì che ‘l sangue facea la faccia sozza. Un busto sanza capo andar sì come andavan li altri de la trista greggia; e ‘l capo tronco tenea per le chiome, pesol con mano a guisa di lanterna. Quando diritto al piè del ponte fue, levò ‘l braccio alto con tutta la testa. Or vedi la pena molesta, tu che, spirando, vai veggendo i morti: vedi s’alcuna è grande come questa. Perzh’ io parti’ così giunte persone, partito porto il mio cerebro, lasso! dal suo principio ch’è in questo troncone.
5.
Cerbero il Gran Vermo La piova etterna, maladetta, fredda e greve; grandine grossa, acqua tinta e neve per l’aere tenebroso si riversa; pute la terra che questo riceve. Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa. Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, graffia li spirti ed iscoia ed isquatra. Urlar li fa la pioggia come cani; qual è quel cane ch’abbaiando agogna, e si racqueta poi che ’l pasto morde, cotai si fecer quelle facce lorde de lo demonio Cerbero, che ’ntrona l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde. Per l’ombre che adona la greve pioggia, ponavam le piante sovra lor vanità che par persona. Elle giacean per terra tutte quante, fuor d’una ch’a seder si levò, Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente loco se’ messo, e hai sì fatta pena. Voi cittadini mi chiamaste Ciacco per la dannosa colpa de la gola, a la pioggia mi fiacco. Li diritti occhi torse allora in biechi; guardommi un poco e poi chinò la testa: cadde con essa a par de li altri ciechi.
6.
Cocito 01:53
7.
Dolenti ne la Ghiaccia Come noi fummo giù nel pozzo scuro sotto i piè del gigante assai più bassi. Per ch’io mi volsi, e vidimi davante e sotto i piedi un lago che per gelo avea di vetro e non d’acqua sembiante. Livide, insin là dove appar vergogna eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia. Ognuna in giù tenea volta la faccia; da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo. Volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti, che ’l pel del capo avieno insieme misto. Ditemi, voi che sì strignete i petti, diss’io,chi siete?. E quei piegaro i colli; e poi ch’ebber li visi a me eretti, li occhi lor, ch’eran pria dentro molli, gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse le lagrime tra essi e riserrolli. Poscia vid’io mille visi cagnazzi fatti per freddo; onde mi vien riprezzo, e mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo al quale ogne gravezza si rauna, e io tremava ne l’etterno rezzo; ch’io vidi due ghiacciati in una buca, sì che l’un capo a l’altro era cappello; e come ’l pan per fame si manduca, così ’l sovran li denti a l’altro pose là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca.
8.
Rabbiosi Falsador Due ombre smorte e nude, che mordendo correvan di quel modo una giunse e in sul nodo del collo l’assannò, grattar li fece il ventre al fondo sodo. Io vidi un, fatto a guisa di leuto,pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto. La grave idropesì, che sì dispaia le membra con l’omor che mal converte, che ’l viso non risponde a la ventraia, facea lui tener le labbra aperte come l’etico fa, che per la sete l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte. Li due tapini che fumman come man bagnate ’l verno, Qui li trovai, quando piovvi in questo greppo, per febbre aguta gittan tanto leppo. E l’un di lor, che si recò a noiaforse d’esser nomato sì oscuro, col pugno li percosse l’epa croia. Quella sonò come fosse un tamburo; rispuose quel ch’avea infiata l’epa. E te sia rea la sete onde ti crepa la lingua, e l’acqua marcia che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa! Così si squarcia la bocca tua per tuo mal come suole; ché s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia.
9.
Vallon Tondo 01:15
10.
Li 'Ndivini 03:58
Li ‘ndivini Io era già disposto tutto quanto a riguardar ne lo scoperto fondo, che si bagnava d’angoscioso pianto; e vidi gente per lo vallon tondo venir, tacendo e lagrimando, ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso, ché da le reni era tornato ’l volto, e in dietro venir li convenia, perché ’l veder dinanzi era lor tolto. la nostra imagine di presso vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi le natiche bagnava per lo fesso. E quella che ricuopre le mammelle, con le trecce sciolte, e ha di là ogne pilosa pelle, Manto fu. Lì per fuggire ogne consorzio umano, ristette con suoi servi a far sue arti, e visse, e vi lasciò suo corpo vano. Vedi le triste che lasciaron l’ago, la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine; fecer malie con erbe e con imago. Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine d’amendue li emisperi e tocca l’onda sotto Sobilia Caino e le spine.
11.
Terribile Stipa Noi discendemmo il ponte da la testa  dove s’aggiugne con l’ottava ripa,  e poi mi fu la bolgia manifesta: e vidivi entro terribile stipa di serpenti, e di sì diversa mena che la memoria il sangue ancor mi scipa. Più non si vanti Libia con sua rena;  ché se chelidri, iaculi e faree  produce, e cencri con anfisibena. Tra questa cruda e tristissima copia  correan genti nude e spaventate,  sanza sperar pertugio o elitropia: con serpi le man dietro avean legate;  quelle ficcavan per le ren la coda  e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate. Ed ecco a un ch’era da nostra proda,  s’avventò un serpente che ’l trafisse  là dove ’l collo a le spalle s’annoda. El s’accese e arse, e cener tutto  convenne che cascando divenisse; e poi che fu a terra sì distrutto,  la polver si raccolse per sé stessa,  e ’n quel medesmo ritornò di butto.

credits

released May 4, 2018

Featuring vocals in XIIIth century's Italian Vernacular language, the concept album is focused on the first canticle of the eternal poem 'The Divine Comedy' by Dante Alighieri.
The much-anticipated follower to "Inferno I" was recorded at Medoosa Studio in Bologna, while mixing and mastering were handled by Giuseppe Orlando at OuterSound Studios (Novembre, Stormlord, Necrodeath) in Rome.
Cover Artwork Design by Gustavo Sazes

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about

KYTERION Calabria, Italy

Kyterion is an Italian black metal band born in 2015.
The artistic solidity of the project leads its member to compose and record their first album: INFERNO I

The vocals are sung in XIIIth century Italian Vernacular; an element of authenticity for an all-Italian project. The nouns of the memebers of Kyterion are unknown, and so are their appearances.
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